Verso l’ignoto

Ormai ho preso la mia decisione. Lascio il mio Paese per affrontare un lungo viaggio verso l’ignoto. Non so cosa mi aspetterà, spero una vita migliore di questa.
I miei genitori hanno deciso per me, vogliono difendermi dalla guerra e dalle violenze che insanguinano la nostra terra, sperano in un futuro migliore per me, ma soprattutto desiderano salvarmi la vita. Hanno dato quasi tutti i loro risparmi ai medici dell’organizzazione umanitaria che, con altri ragazzi, mi porteranno in Italia, dove avrò un tetto sopra la testa, un letto per riposare e potrò frequentare una scuola per imparare una lingua che non conosco e capisco poco.
Il viaggio sarà lungo e spero senza sorprese. I documenti sono tutti pronti, tengo le dita incrociate, mi auguro che vada tutto bene e che non siano resi vani tutti i sacrifici dei miei genitori.
Ho paura di quello che mi aspetterà quando arriverò in Italia.
Sarò lontano dalla mia casa che, anche se povera, è la casa dove sono nato, dai miei genitori che mi hanno sempre protetto e aiutato, consolato quando ne avevo bisogno, sostenuto e incoraggiato nelle mie piccole conquiste. Mi mancheranno i nonni che, con la loro saggezza, hanno cercato di spiegarmi le cose del mondo e con i loro ricordi mi hanno dato la speranza di poter un giorno ritornare in patria e trovarla senza più guerre e devastazioni. Dovrò lasciare i miei amici con i quali ho condiviso momenti belli e brutti, gioie e dolori, ma, nonostante il clima di violenza attorno a noi, ci siamo divertiti e abbiamo passato momenti felici.
Mi mancheranno tutti, perché sarò da solo, ma devo farcela assolutamente.
Ho imparato a conoscere e fidarmi delle persone con cui partirò e che mi aiuteranno ad affrontare la mia nuova vita. Prometto di comportarmi bene, di imparare tutto il più velocemente possibile, di riuscire negli studi e trovare un lavoro che mi permetterà di condurre una vita dignitosa e libera e, un giorno, di portare con me la mia famiglia. Spero di essere d’aiuto agli altri, così come gli altri stanno facendo con me. Per questo motivo voglio diventare un dottore, per poter curare i bambini che sono disperati e soli, perché la violenza di altri li ha lasciati orfani o mutilati in qualche parte del corpo o feriti per sempre nella mente e nello spirito.
Vado a radunare le mie poche cose. Voglio passare ancora i momenti che mi rimangono riscaldato dall’affetto dei miei genitori e poi, domani, all’alba, comincerò la mia avventura.

Simone

La prozia

Era la notte buia e tempestosa del 19 dicembre 2017. Ero a casa sola. Ero sveglia da più di un quarto d’ora e mi stavo rigirando nel letto nel tentativo di riaddormentarmi, quando sentii salire un brivido lungo la schiena, mi girava la testa, chiusi gli occhi. Quando li riaprii, stavo sudando freddo e vedevo tutto in bianco e nero, sembrava di essere in un film degli anni ’30. Mi alzai dal letto, il cuore mi batteva forte, ero in uno stato di totale confusione. Mi avvicinai allo specchio che stava nel corridoio principale, era buio, non vedevo nulla fino a quando un lampo illuminò la casa. Lanciai un grido di orrore perché davanti a me non vedevo più una ragazzina di tredici anni dai capelli lunghi e castani che indossava un comodo pigiama a pois, ma una donna con una vestaglia bianca e una treccia di lato che scendeva su una spalla. Non ero più io; questa donna mi era familiare, forse troppo.
Un tuono mi fece sobbalzare e mi riportò alla mente il ritratto della prozia di mia madre, morta proprio il 19 dicembre del 1817 in quella stessa casa. Un ladro era
entrato furtivamente ma la prozia, che dormiva sempre con una pistola sotto il
cuscino, l’aveva colto in flagrante e, spaventata, gli aveva sparato. Il ladro, prima di morire, si era lanciato contro di lei sferrandole una coltellata al cuore. Questo
episodio faceva parte della storia della mia famiglia e, quando ero piccola, mi era
stato raccontato dai miei cugini per spaventarmi. Mi venne un attacco di panico
quando sentii scricchiolare i gradini delle scale e vidi davanti a me un uomo enorme, con il viso coperto da un passamontagna che in mano reggeva un coltello da macellaio. Era lì per farmela pagare.

Emma R.

Frammenti di cristallo e di follia

Era una comunissima notte di ottobre, faticavo a dormire a causa dei fulmini e dei tuoni provenienti dall’esterno.  Strinsi malinconicamente il cuscino e, senza rendermene conto, mi ritrovai davanti al frigorifero in acciaio della cucina, intenta a bere un bicchiere d’acqua. Era come se qualcuno mi avesse trasportato dal letto alla cucina, come si è soliti fare con le bambole, senza che io me ne rendessi conto. Mentre mi interrogavo sul perché fossi lì, qualcosa attirò la mia attenzione: il volto riflesso nel frigorifero non apparteneva a me! Era quello di una donna sui trent’anni, con i capelli mori che le incorniciavano il viso, spigoloso e pallido, e gli occhi color ghiaccio che le donavano un’aria inquietante. Rimasi terrorizzata da quella scena, avevo la fronte madida di sudore, sentivo brividi risalirmi la schiena e le mani mi tremavano talmente tanto che lasciai cadere il bicchiere di cristallo che si frantumò in mille pezzi.
Insieme ai lampi e ai tuoni, sentii il campanello suonare e, anche se non avrei voluto, provai l’irrefrenabile impulso di aprire la porta. Né sulla soglia né tanto meno sul vialetto vidi qualcuno, così tornai dentro casa, ma, prima di chiudermi la porta alle spalle, un lampo illuminò il piccolo giardino, facendomi scorgere il
corpo di una persona coricata a terra. Mi avvicinai per capire chi fosse e cosa stesse succedendo. Un secondo lampo illuminò il viso della persona svenuta nel mio giardino e riconobbi all’istante il volto che avevo visto qualche attimo prima riflesso sullo sportello del frigorifero. Le afferrai d’impulso la mano e chiamai
un’ambulanza e, prima che potessi finire di digitare l’ultimo numero, sentii la sua mano stringere la mia, i suoi grandi occhi chiari si aprirono e io emisi un piccolo gemito per lo spavento.
Non so per quale motivo, ma questo è tutto ciò che ricordo di quella lontana notte. La mattina successiva mi risvegliai madida di sudore abbracciata al mio cuscino, andai subito allo specchio e il volto che vidi riflesso era il mio. Mi consolai pensando fosse stato solo un incubo, ma quando andai in cucina, vidi i frammenti del bicchiere sul pavimento. Forse non era stato solo un sogno, forse ero diventata matta, oppure una donna era davvero riuscita ad impadronirsi della mia identità?

Vittoria